L’attraente ‘astrazione del reale’ di Giuliano Collini

La fotografia è comunicazione e quando non riguarda la snapshot – la fotografia istantanea che ognuno può scattare, a testimonianza del proprio vivere quotidiano – si tratta di una comunicazione che costruisce informazione, nella logica giornalistica di chi si occupa delle notizie sul Mondo, oppure, se risponde ad un approccio rigorosamente creativo, è comunicazione artistica. Esiste però anche tanta altra fotografia, che tenta di essere comunicazione dell’uno o dell’altro tipo, senza riuscire nell’intento.

In fotografia, mi verrebbe da dire, tutto si ferma e si mette “in forma”, sia che si tratti di costruire informazione, sia che si intenda comunicare artisticamente. Le fotografie di Giuliano Collini intendono appartenere a quest’ultima tipologia, anche se la componente innovativa che la comunicazione artistica richiede non è l’elemento su cui possono fare affidamento, infatti utilizzano una forma ampiamente esplorata, che fa già parte della semantica sedimentata da questo sistema di comunicazione. Tanto per citare un autore celebre, direi che il lavoro del britannico Michael Kenna visita gli stessi luoghi mentali frequentati da Collini e li attraversa utilizzando il medesimo stile tonale del nero e del bianco, dei tempi lunghi e del rigore formale quasi maniacale. Così dicendo, potrei farvi pensare che intendo liquidare queste fotografie come un dejà vù, ma non è così.

Se non ci si ferma all’immediatezza della percezione, alla prima impressione, ma ci si concentra sulla visione del “contenuto”, da queste fotografie c’è la possibilità di cogliere la soggettività dell’autore. Non è la forma in se stessa, quindi, a sostenere la loro qualità, ma il sentimento a cui essa conduce, l’umanità del fotografo, che si nasconde e si svela, se ci si lascia condurre da essa. Potremmo dire che, al di là della forma, è la metafisica della luce (di stampo filosofico, termine coniato dal tedesco Clemens Baeumker), che sostanzia queste fotografie e facilita il perdersi dello sguardo in uno spazio mentale, astratto e concettuale; una luce che guida l’osservatore attento verso la comprensione della condizione emozionale, sul piano fisico, psicologico e gnoseologico che l’autore esprime.

C’è chi pensa che la fotografia consista nel fermare l’attimo, mentre Collini si affida allo scorrere del tempo e ai toni del grigio non presenti in natura, che egli costruisce con il sapiente uso di un mezzo, quello fotografico, nella sua nuova realtà, quella digitale. Sono immagini potenti, che stravolgono la nostra concezione del reale, ne astraggono la forma costruendo una nuova dimensione che oltrepassa il visivo. Una dimensione che è astrazione del reale e che viene concessa ai nostri occhi, per depositarsi combinata di uomo sul nostro cuore, mentale ed emozionale.

Queste fotografie sono tutte immagini singole, che rifiutano la visione nella serie, anche se la coerenza stilistica parrebbe accumunarle; sono fotografie che portano nella loro isolata visione la narrazione di un vissuto, che le rende navigabili, attraversabili e associabili a sentimenti che appartengono all’essere umano. Sono piacevoli e per l’autore sarebbe facile compiacersi in esse, ma questo non accade. Infatti, restano sobrie nel silenzio costruito in un un tempo dilatato, come quello del respiro che ascolta se stesso, lentamente. Sono astrazioni che mantengono l’incanto della rivelazione, perché fotografie che garantiscono all’osservatore la percezione del loro referente oggettuale; “astrazioni del reale” dicevo, perché quello spazio ancora riconoscibile (e reale) è intriso del sublime mistero, che solo la semplicità della poesia è in grado di travalicare, fino a farci assaporare l’estasi tranquilla dell’eterno.

Una fotografia quindi, che non nasce da un interesse documentario, che si sviluppa, piuttosto, lungo un filone narrativo ed artistico. Delle fotografie che sono il frutto di un’acuta sensibilità, che si esprime nell’osservazione dell’ambiente, dei paesaggi naturali dai contorni antropizzati, ma che non si traduce nella loro descrizione, bensì in un’interpretazione carica di suggestione. Sono fotografie che ci mostrano lo sguardo scultoreo dell’autore, che ci prende per mano e ci accompagna nella visione, dove ogni segno è ponderato e proprio per questo ci è concesso l’abbandono.

Rimini, 4 Febbraio 2014

Marco Vincenzi

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